Intervista pubblicata sulla Staffetta Quotidiana il 2 agosto 2019. Di G.M.
Dal rapporto con gestori e UP alla razionalizzazione della rete, dal tema delle frodi all’extrarete, fino ai sussidi ambientalmente dannosi e all’Ecobonus
In questa lunga intervista, il presidente di Assopetroli Assoenergia
Andrea Rossetti, partendo dal “richiamo” delle associazioni dei gestori, mettein fila le tante questioni aperte nel settore: dalla persistente emergenza dellefrodi al “ritorno” del tema razionalizzazione, dai temi fiscali a quellicontrattuali, dal nervo scoperto dell’extrarete ai rapporti con l’UnionePetrolifera, fino ai temi politici più attuali, come la rimodulazione dei sussidi ambientalmente dannosi e le novità sull’Ecobonus.
I rapporti con i gestori.Partiamo dalla piattaforma unitaria dei gestori. Sulla Staffettaabbiamo sottolineato come fosse un appello alla responsabilità di tutto il settore. Come avete accolto le richieste?
Guardiamo con interesse al fatto che le tre associazioni maggiormente rappresentative abbiano trovato una convergenza. Riteniamo che siano le titolate alla rappresentanza del settore e le abbiamo già contattate, programmando incontri a partire da settembre. Sono tante le questioni da affrontare, emerse anche precedentemente alla risoluzione: questioni di mercato, contrattualistica, tematiche fiscali, sia come nuovi adempimenti e relativo impatto, sia come misure dedicate al contrasto all’illegalità.
C’è un fronte aperto per quanto riguarda i contratti. Siamo aperti a fare uno scatto avanti sul fronte dei contratti. Ma è necessario non essere contraddittori. O si va verso un approccio amministrato sul fronte dei prezzi, dei margini, del numero di impianti, oppure si va verso il mercato, e allora bisogna spingere sulla concorrenzialità. Se si sceglie questo secondo approccio va riformata anche la parte contrattualistica, prevedendo un carnet di soluzioni. La remunerazione del gestore non potrà essere considerata una variabile indipendente.
I sommovimenti nel mondo dei gestori segnalano però un problema, ed è un problema per tutto il settore, non solo per quella parte della filiera. Assolutamente sì. È un disagio a cui bisogna cercare di dare risposta. Tra gli elementi della concorrenza sleale c’è anche il dumping contrattuale, e alcuni comportamenti spregiudicati da parte di proprietari di impianti non vanno difesi. Su questo dobbiamo dare un segnale di sensibilità, vanno assunte delle posizioni chiare. Mi riesce invece difficile entrare in contenuti che abbiano elementi di cogenza su retribuzioni minime, sanzioni automatiche, valorizzazione del ruolo delle organizzazioni maggiormente rappresentative. Ma il confronto che avremo a breve serve proprio a questo e ci presentiamo al dialogo solo per confermare i rispettivi pregiudizi. A riguardo, sullo sfondo sento riecheggiare proprio nella citata risoluzione del M5S di nuovo il tema dell’esclusiva, e una certa retorica sul doppio canale. Sono questioni che hanno trovato in più occasioni approfondimento e soprattutto mediazione legislativa. Sarebbe complicato riprendere il dibattito partendo ancora da quelle suggestioni e parole d’ordine. Ricordo che furono passaggi molto divisivi. Ricostruire da lì mi sembra difficile.
L’illegalità. Il tema delle frodi sembra tutt’altro che risolto. Sul tema dell’antifrode c’è un filo di continuità. Noi abbiamo iniziato a impegnarci con l’allora presidente Franco Ferrari Aggradi, e con lui molte delle persone che guidano ora l’associazione. La mia attuale presidenza rappresenta una scelta di continuità. Rivendichiamo di avere avuto antenne mpiù ricettive sul mercato, nel capire cosa stava avvenendo, di avere avuto la determinazione di denunciare il fenomeno, la tenacia e la costanza di sensibilizzare, analizzare, proporre, stimolare, su tutti la politica su tutti i piani: esecutivo, legislativo, giudiziario. Più di questo un’associazione di categoria è difficile che possa fare. Ma evidentemente non basta: è un dato di fatto che gli sforzi non hanno ancora prodotto la reazione di sistema necessaria.
Qual è la situazione sul mercato attualmente? Con la fatturazione elettronica sembra esserci stato un effetto positivo sulle indagini e sul recupero dell’evasione. Al di là di qualche notizia di cronaca il problema permane, soprattutto quello principale delle frodi Iva, realizzate oggi con modalità diverse rispetto a due anni fa. Occorrerebbe una reattività del sistema molto maggiore. Peraltro ci sono innumerevoli procure impegnate in indagini, ma tutte le azioni nel loro insieme faticano a trasformarsi in una diga di resistenza.
Le ultime operazioni di polizia sembrano però testimoniare una maggiore rapidità di intervento rispetto al verificarsi delle condotte fraudolente. Rispondo con un dato: lo scorso maggio pare sia stato raggiunto un record storico di immissione in consumo da parte dei destinatari registrati; qualcosa come 50 milioni di litri di solo gasolio. È evidente che la questione non può dirsi risolta.
Perché ora il problema è il destinatario registrato? Il problema è piuttosto ciò che avviene all’atto dell’immissione in consumo del carburante della prima commercializzazione, a prescindere che si tratti di destinatario registrato o deposito fiscale. Perché, in forza della deroga concessa dal comma 941 della legge di bilancio 2018, se il gestore della struttura immette in consumo la merce in conto proprio e non in conto terzi, è esonerato dal pagamento anticipato dell’Iva e può quindi commercializzare i prodotti senza ricadere nella normativa antifrode. Questa deroga fu introdotta per tenere conto delle compatibilità industriali del settore. Ma come sempre accade è nel sistema delle deroghe che la normativa si piega e diventa più facilmente aggirabile.
State studiando altre soluzioni da proporre al legislatore? Abbiamo sostenuto un’iniziativa molto determinata sul Mef e avevamo l’aspettativa di un provvedimento in questa primavera che vietasse l’utilizzo delle lettere d’intento nel settore dei carburanti. Come è noto si tratta dello strumento che consente agli esportatori abituali, che si trovano
nella condizione strutturale di Iva a credito, di acquistare merci in esenzione d’imposta. È un’eccezione all’ordinamento Iva tutta italiana, che proprio in quanto eccezione, si presta a essere usata con finalità fraudolente che sono difficilmente controllabili ex ante, ciò nonostante i notevoli miglioramenti della prassi di controllo che sono stati ottenuti in questi anni. Anche nel nostro settore è lo strumento più abusato per realizzare il salto d’imposta. Le modalità con cui ciò avviene sono
perfettamente conosciute dagli organi di controllo. Abbiamo chiesto e condiviso col Mef la necessità di vietarne l’utilizzo nella nostra filiera, ma il provvedimento è inspiegabilmente slittato. Speriamo venga ripreso nella sessione di bilancio. Altrimenti sarebbe un fatto molto grave.
D’altronde ormai ne parlano tutti: questa del recupero del tax gap è diventata una posta di bilancio su cui contare per la prossima manovra. Qualcosa sulle frodi Iva nel settore dei carburanti è nell’aria stando anche alle recenti dichiarazioni del Ministro Tria. Speriamo che siano cose ragionate e ben fatte, che funzionino e che siano proporzionate in termini di adempimenti sugli operatori. Nell’ultima assemblea abbiamo usato la metafora del sentiero stretto, che è rappresentativa della nostra situazione: la preoccupazione degli operatori è tutelare il mercato dall’illegalità senza essere vessati inutilmente da cose ridondanti e non focalizzate sui problemi reali.
C’è poi la famosa circolare delle Entrate che non ha mai visto la luce…
Ci doveva essere un chiarimento formale, soprattutto sui passaggi di prodotto ancora in sospensione, su cui pare che nel mercato ci siano pratiche non uniformi, piuttosto anomale.
A sentire l’amministrazione finanziaria, il problema principale erano le divisioni tra le diverse articolazioni della filiera. Non mi risulta. Assopetroli sulla quella circolare non ha fatto alcun rilievo. Per noi andava bene anche nella versione che ci fu presentata a luglio 2018. Se un problema di disaccordo esiste, di certo non riguarda la nostra organizzazione. Credo invece che su questo ci sia una grave inerzia dell’amministrazione dello Stato che, sia detto incidentalmente, dovrebbe semmai fare sintesi e legiferare a tutela dell’interesse generale, eventualmente anche a prescindere dall’accordo o meno tra operatori e associazioni. E questo vale anche sul reverse charge.
A parte la burocrazia, l’impressione è che non ci sia una volontà politica chiara. Trascorsi tanti anni, il protrarsi di questa situazione non si può spiegare se non con una volontà politica inadeguata a fronteggiare quella che è una vera emergenza. Questo è il nodo di fondo: c’è un vuoto sorprendente di volontà politica. E questo genera preoccupazione e sfibramento. Nella nostra base associativa si è determinata una profonda crisi di sfiducia nei confronti delle istituzioni a cui fatichiamo a fare argine.
Pare che la vice ministra Castelli si stia occupando di reverse charge.
È quello che si legge, ma la realtà è meno chiara, anzi in questo momento sembra di navigare a vista in mezzo alla nebbia. Il dualismo tra le forze politiche della maggioranza e l’instabilità non aiutano. Dopo l’insediamento del governo c’è stato un blackout nella comunicazione con le associazioni, con l’eccezione dei gestori soprattutto sul tema dello slittamento della fattura elettronica nel B2C. Poi a gennaio si è aperto il dialogo sia con il Mise (Crippa) che con il Mef (Bitonci). Poi in corso d’opera si è aggiunto Villarosa e ora Castelli. Il tutto in una situazione in cui non è ben chiaro chi fa cosa, né quale sia la direzione di marcia. Noi siamo tenuti a dialogare con tutti senza preconcetti, con spirito di lealtà e servizio, ma francamente è difficile non essere disorientati.
La digitalizzazione. Siete contrari agli adempimenti relativi alla tracciabilità e alla digitalizzazione della filiera? Capita di leggere dichiarazioni in cui ci si riferisce come una panacea alla tecnologia per il tracciamento della filiera, ad esempio nella proposta di risoluzione parlamentare presentata dal deputato M5S De Toma. Si parla di “utilizzo di nuove tecnologie nel controllo e nel tracciamento del carburante in tutte le fasi della filiera”. Espressa così genericamente potrebbe sembrare una cosa efficace, ma non si capisce precisamente a cosa ci si riferisca. Di quali tecnologie si parla? Chi le implementa, chi le paga, chi le controlla? Si dimentica che una legge sul controllo tecnologico dell’infrastruttura distributiva già esiste. La Finanziaria per l’anno 2017, oltre a riformare alcuni importanti istituti del TUA (es. depositi fiscali e destinatari registrati), ha già consegnato all’Agenzia delle Dogane il più ampio potere prescrittivo. È una norma programmatica che già abilita
l’Amministrazione a provvedere e dunque ci chiediamo a quale altra legge si voglia pensare. Perché il tema prioritario da affrontare è un altro: le frodi Iva, e su questo abbiamo già messo il bazooka in mano all’amministrazione con la fatturazione elettronica. L’altra arma poteva essere il reverse charge ma è una strada che non sembra percorribile e ne prendiamo atto. L’altra cosa da fare rapidissimamente è appunto vietare le lettere di intento in tutta la filiera dei carburanti senza deroghe.
Avete quindi rinunciato all’idea del reverse charge?
Il reverse charge non è una nostra stravaganza ma la risposta prevista dalla direttiva Iva in caso di frodi su larga scala che si concentrano in un particolare settore merceologico. Viene già applicato in vari settori in vari Stati membri. Su questo sarebbe stato logico aprire un confronto istituzionale serio e documentato, almeno per condurre un’analisi di impatto economico e valutare rischi e opportunità. Guardando alla realtà italiana, secondo il nostro studio la misura sarebbe efficace. Per avere un ammanco di gettito Iva simile a quello di cui si parla oggi dovremmo ipotizzare percentuali di inadempienza degli esercenti i punti vendita irrealistiche. Questa analisi purtroppo non è stata fatta. Esiste poi un problema di compatibilità giuridica e il recente pronunciamento negativo della Commissione Ue sull’applicazione del reverse charge richiesto dalla Lituania per i carburanti è un elemento di cui dobbiamo tenere conto.
Qual è la vostra posizione sulla prossima introduzione del Das telematico? È la finalizzazione del percorso EMCS sul monitoraggio dei prodotti soggetti ad accisa a livello comunitario. È un progetto partito molti anni fa e quindi tutta’altro che una sorpresa. Da parte nostra nessun allarme, ma solo la preoccupazione di concordare con l’Agenzia delle dogane l’implementazione ordinata e graduale di questo passaggio che impatta significativamente l’operatività delle PMI. Ma tornando al problema di fondo, va ribadito che l’e-das è un presidio di controllo efficace del gettito accise, ma che è pressoché ininfluente sul contrasto alle frodi Iva. Parlare di illegalità e frodi in questo settore confondendo i due piani Iva e accise è un errore concettuale. Il primo ha un peso specifico enormemente superiore al secondo e chiede risposte specifiche assolutamente più urgenti. Il mercato parallelo si alimenta in misura largamente preponderante con le frodi Iva, questa è la vera emergenza da cui non dobbiamo distrarci. È un fatto riconosciuto in primo luogo dall’Amministrazione che sviluppa analisi di rischio specifiche sulla base dei dati; dati che sul lato accise non mostrano un andamento critico minimamente paragonabile a quello che si registra purtroppo sul fronte dell’Iva.
Ma sicuramente è una misura che aumenterà la trasparenza del settore, fornendo maggiori informazioni sulle transazioni in tempo reale. Certamente, e infatti non ci sottraiamo all’approccio. Ma non accettiamo che si faccia confusione e, dopo cinque anni di lavoro su questo dossier, gli operatori pretendono dal legislatore una visione chiara e una gerarchia di priorità precisa che sia incentrata eminentemente sul contrasto alle frodi Iva. Altrimenti c’è il rischio di introdurre altre disposizioni non coordinate che non sortiranno alcun effetto, ma che andranno ad appesantire ulteriormente l’operatività delle aziende che già devono fare i conti con la concorrenza sleale. Un solo esempio se si parla di tracciamento: le autocisterne slovene o croate che circolano sulle nostre strade, pur essendo tracciate dal sistema telematico EMCS, rappresentano un’anomalia più che sospetta dal punto di vista delle frodi Iva. Ciò dimostra che l’attenzione va concentrata non solo sul movimento fisico delle merci, ma soprattutto sulle transazioni commerciali e finanziarie, sulla catena delle fatturazioni e rifatturazioni, sulla verifica ex ante dei crediti Iva. È fattuale che questo sia l’ambito prioritario e ad oggi non sufficiente controllato.
Il rapporto con UP. Secondo il presidente UP Spinaci chi si oppone alla digitalizzazione della filiera fa il gioco del “mercato parallelo”.
Il presidente Spinaci è persona solitamente accorta. Ma questa affermazione è sembrata immediatamente fuori centro, almeno per quanto possa riferirsi al contributo di Assopetroli Assoenergia nella gestione di questo dossier. Allora è bene chiarire alcune cose. Ogni organizzazione svolge il proprio ruolo in buona fede, fino a prova contraria, e tutela gli interessi morali ed economici dei suoi rappresentati. Questi interessi possono in taluni casi confliggere con quelli di altri attori ed è fisiologico. Ma al di là di singole questioni divisive, come ad esempio il reverse charge,
avversato dall’industria per presunta ma indimostrata inefficacia, deve restare il rispetto sostanziale. Assopetroli si è distinta in questi ultimi cinque anni, cioè da quando il presidente di UP non era nemmeno in carica, per la qualità delle analisi e delle proposte, per la disponibilità costante al confronto anzitutto con l’industria, per la tenacia della sua mobilitazione contro l’illegalità, per il rispetto istituzionale verso le forze politiche, il Governo e l’Amministrazione. Questo sarebbe bene che non venisse dimenticato. Apprezziamo il lavoro di tutti nel perseguire le finalità comuni, ma non riconosciamo a nessuno l’autorità di parlare ex cathedra.
Sembra di capire che l’imposizione di determinati standard tecnologici e di qualità sia interpretato anche come un modo per razionalizzare la rete. Certo, questa è la percezione di molti retisti ma non solo, anche dei rivenditori. Perché vede, se invece di concentrare gli sforzi sulla madre di tutti i problemi che in questa fase è il contrasto alle frodi Iva e al mercato parallelo, si vagheggia di piani a lungo termine, ad esempio per il controllo digitale dell’infrastruttura distributiva che richiede anni e ingenti investimenti, si dà la sensazione di voler imporre alle piccole e medie imprese una medicina costosa, potenzialmente debilitante e comunque inefficace a combattere il male che bisogna curare. Il settore della distribuzione, di cui le Pmi indipendenti sono un pilastro imprescindibile, deve essere messo in condizione di modernizzarsi a un passo che non può essere quello delle Big Oil. E se qualcuno dei grandi player immagina di perseguire la ristrutturazione del mercato per via surrettizia, scaricando sul settore continui obblighi e adempimenti per stressare una certa categoria di operatori, commette a nostro avviso un grande errore. La nostra bussola è contribuire ad assicurare al mercato standard di affidabilità e qualità complessiva. In questa dimensione le piccole e medie imprese sono una risorsa del sistema, un fattore di dinamismo e pluralità dell’offerta, tanto più se le aziende petrolifere si ritraggono da questo mercato. Il nostro lavoro è difenderle e aiutarle a crescere.
La razionalizzazione della rete. Esiste però un problema di arretratezza di molti impianti, di una necessaria evoluzione della rete.
Certamente. Il settore sconta un’arretratezza indubbia da diversi punti di vista, esattamente come altri settori produttivi. Ciò si iscrive nell’arretratezza complessiva di un Paese che non a caso ha varato Industria 4.0 per rispondere a una questione che è nazionale. La struttura produttiva italiana è nota. Le Pmi hanno spesso una difficoltà cronica nell’aggiornamento tecnologico, nell’investimento sul capitale umano, ma ancor prima sulla dotazione di capitale, l’accesso al credito, la qualificazione manageriale. Ma ciononostante fanno PIL e occupazione. Al netto di questo, il settore degli indipendenti esprime un dinamismo notevole. Abbiamo impianti infrastrutturati con metano e Gnl più delle petrolifere, molti operatori con reti ottimizzate, automatizzate che sono di assoluta eccellenza. Abbiamo imprese che innovano, crescono, sono aperte al nuovo e molto reattive. Poi esistono anche impianti piccoli e obiettivamente superati. Ma fare leva su questo per porre di nuovo il tema della razionalizzazione pianificata mi sembra azzardato. Stiamo finendo l’implementazione dell’ultimo programma e immaginare di ripartire con un’altra operazione tanto complessa, in una congiuntura politica così instabile, non mi pare realistico. Dopo di che Assopetroli non si sottrae a nessun confronto se basato sul principio della volontarietà, su incentivi e abbassamento delle barriere all’uscita.
Si è tornato a parlare anche di chiudere i punti vendita inefficienti. Che ne pensa? In una situazione di mercato liberalizzato, con libertà di stabilimento e tutela della concorrenza mi chiedo come si possa fissare un’asticella e costringere un libero imprenditore a chiudere la sua attività per editto in quanto “inefficiente”? Viene da chiedersi se qualcuno dei proponenti abbia tenuto presente questa banale considerazione di compatibilità giuridica. In più c’è il paradosso che se l’efficienza la misuriamo in termini di erogato, è ben possibile che un impianto abbia perso vendite e sia finito sotto la soglia proprio a causa dell concorrenza sleale, mentre altri punti vendita sopra soglia hanno fatturati floridi perché si approvvigionano altrimenti.
Sotto questo punto di vista l’anagrafe non sembra aver dato i risultati sperati. Dopo quattro anni di lavoro potremo contare forse su una chiusura a regime di 400 punti vendita? E molto dipenderà anche dalla fase di controllo. Certo non un grande bilancio rispetto alle ambizioni della pianificazione. Resta sì l’anagrafe, che come tutte le banche dati può essere aggiornata, integrata, resa interoperabile e consentire capacità di governo del settore. Quindi non buttiamo via il bambino con l’acqua sporca e magari impegniamoci a valorizzare questo strumento per ciò che consente, ad esempio l’integrazione con l’Osservatorio Prezzi, i flussi informativi doganali e quelli della fatturazione elettronica. Integrare le informazioni e renderle accessibili in tempo reale può aiutare a evidenziare soglie di anomalia dei prezzi e pratiche di vendita sottocosto potenzialmente o illegali che danneggiano il mercato.
Che tipo di evoluzione vede per la rete? L’idea è racchiusa nella formula che ho utilizzato più volte: essere ponte per la transizione, immaginare la rete distributiva stradale, ma anche la logistica che evolve per rispondere ai bisogni della transizione energetica, della nuova mobilità. L’idea del punto vendita che diventa uno “store multienergy e multi servizi”, uno snodo per la mobilità urbana, per i cambio modale, per la mobilità condivisa, per i servizi ai consumatori. È una direttrice di sviluppo non standardizzabile che richiede capacità di adattamento ai singoli contesti di mercato e su questo non c’è dubbio che il radicamento degli indipendenti nei territori, la loro agilità operativa rappresenti un grande vantaggio competitivo. È uno scenario che abbiamo delineato più volte. Ma occorrono condizioni di contesto se non favorevoli almeno non ostili e respingenti. In primo luogo un mercato che recuperi una redditività equilibrat sconfiggendo l’offerta illegale. Questa è la pietra angolare su cui costruire il resto: filiera Dafi, Gnl, biogas, metano e Gpl, elettromobilità, nuovi servizi. In secondo luogo una visione politica della transizione energetica stabile e coerente, incentrata sulla neutralità tecnologica, sul realismo per traguardare gli obiettivi sul miglioramento della qualità dell’aria e la decarbonizzazione insieme alla sostenibilità economica e sociale.
In questo quadro rientra l’adesione a Motus-E? Sì, e scaturisce da una precisa delibera della nostra Assemblea che chiede alla dirigenza di essere proattiva e non oppositiva rispetto al cambiamento.
I sussidi ambientalmente dannosi. Nell’agenda politica è entrato anche il tema dei sussidi ambientalmente dannosi. Siete stati interpellati sul tema?
Guardiamo al tema con preoccupazione. Abbiamo già reiteratamente chiesto l’incontro col il vice ministro Castelli, sia perché adesso sembra titolare del dossier illegalità, sia su quest’altro argomento. La prima ipotesi di intervento di cui si parla sembra è un aumento dell’accisa sul gasolio a tendenziale parificazione dell’accisa sulla benzina. Ma non se necomprende la ragione, posto che il gasolio e il motore diesel hanno un’impront carbonica minore rispetto alla benzina. E quindi c’è il dubbio di quale sia l’obiettivo: la qualità dell’aria? La decarbonizzazione? O semplicemente aumentare le tasse? È necessario fare chiarezza e condividere gli obiettivi. Poi c’è la sostenibilità economica e sociale. Noi non siamo noi i destinatari dei presunti sussidi, ma gli esattori delle imposte che gravano sui consumatori finale. E qui vedo dei problemi: con l’economia italiana in stagnazione, interi settori in difficoltà, tra cui il trasporto, l’auto, risulta difficile capire come questi interventi siano conciliabili con la sostenibilità sociale. Lo switch verso il rinnovabile non basta volerlo, e non c’è un’alternativa ecologica immediatamente disponibile.
Tra le misure oggetto di revisione ci sarebbero anche gli sconti per Gpl e gasolio nelle zone montane. Questo significherebbe spingere i cittadini che già vivono in zone svantaggiate verso pellet e biomasse, con un impatto peggiorativo drammatico sulla qualità dell’aria. Mettere mano a queste questioni è molto delicato e i gilet gialli in Francia dovrebbero essere un monito.
L’Ecobonus. L’associazione si è scagliata contro le novità sull’Ecobonus introdotte nel decreto crescita. Perché? La misura è figlia di una visione che incentra il processo dell’efficientamento energetico sui grandi player. Il che è sorprendente, anche considerando che nella base sociale di riferimento di questo governo dovrebbero esserci in teoria proprio le Pmi italiane.
Può essere una scelta politica, magari c’è la convinzione che possa essere una strada più rapida ed efficace. In termini operativi l’attore dell’efficienza energetica non è la grande utility perché, salvo rare eccezioni, non c’è quella specifica cultura di impresa. Con questa norma c’è il rischio di creare un sistema di subappalti, con le Esco e le imprese che fanno efficienza che vengono confinate ad essere il mero esecutore in subappalto delle grandi utility. Secondo noi non è un processo virtuoso. Senza considerare che una buona parte del mondo utility non è neanche italiana. Credo che la strada migliore sia puntare sul pluralismo e sul dinamismo delle Pmi. Perché hanno competenze specifiche, capacità organizzative, economiche e finanziarie più che adeguate, a meno che sul piano finanziario non si intrometta una barriera che non di assorbire con la stessa velocità i crediti di imposta.
Extrarete e retail. Alcuni operatori petroliferi si stanno affacciando sul mercat retail dell’elettricità e del gas.
Quali sono i problemi principali di questo settore? Alcune nostre imprese sono molto attive nella vendita di gas ed energia elettrica. Più che problemi autorizzativi ci riportano criticità nella solvibilità di mercato e nel rischio credito, come del resto anche nella commercializzazione dei prodotti petroliferi.
A proposito, come vanno le cose nell’extrarete? Il mercato è da tempo quasi interamente assistito da garanzie terze, attraverso compagnie di assicurazione del credito o normali fideiussioni bancarie. Le compagni non fanno più politiche commerciali di affidamento autonome e cercano di acquisire in prima istanza coperture assicurative, proprio per non caricare di oneri eccessivi il cliente: una fideiussione bancaria rappresenta un aggravio in termini di accesso al credito. In questo settore c’è stata una fase molto critica qualche anno fa, quando si sono verificati default di alcune aziende importanti del nostro settore, che hanno generato una riconsiderazione sul rischio di credito del settore da parte delle compagnie di assicurazione che hanno determinato “tagli” orizzontali degli affidamenti aziendali per contenere il rischio sul settore. Questo ha generato anche scompenso, ma al momento non è percepito come un problema pressante. Resta l’altra faccia della luna: il problema che si innesta sul passaggio commerciale successivo, i rivenditori rispetto alla clientela finale. Avere fideiussioni bancarie dai consumatori finali è rarissimo. Anche coprire il rischio di insolvenza con le società di assicurazione del credito è spesso complicato e oneroso: i livelli di copertura non sono integrali, le posizioni maggiormente rischiose non vengono coperte. Questo resta un vero nervo scoperto.