ROMA Oltre 2 miliardi di Iva evasa nei prodotti petroliferi: è la denuncia che l’Assopetroli-Assoenergia lancerà con forza dalla sua assemblea mercoledì 5 luglio. «Ma se aggiungiamo tutte le altre frodi possibili nello stesso settore, dal contrabbando all’evasione delle accise fino ai furti dagli oleodotti, arriviamo al doppio di quella cifra, cioè a 4 miliardi, più del 10% del valore fiscale dei carburanti che è di 35-38 miliardi di euro», spiega Andrea Rossetti, che dell’Assopetroli è presidente. Un quadro inquietante che accende un faro su un settore da sempre ad alto rischio di infiltrazioni anche dalla criminalità organizzata e di malaffare diffuso. «Per restare all’Iva aggiunge Rossetti – sarebbe di aiuto introdurre il reverse charge già applicato in altri settori, anche a noi molto vicini come il gas per autotrazione». Significa che del gran numero di intermediari che lavorano con i prodotti petroliferi – raffinatori, depositanti, grossisti, distributori e via dicendo – solo i protagonisti del passaggio finale sono tenuti al pagamento dell’Iva, «che è comunque una partita di giro per lo Stato, che quindi non ci rimetterebbe nulla». L’automobilista quando va a fare benzina paga l’Iva e il benzinaio (o la compagnia) la riversa al Fisco, non il grossista né alcun intermediario. Sarebbe un colpo alle frodi che non a caso si chiamano “carosello” perché l’evasore si colloca in un passaggio di una catena lunghissima e turbinosa al punto che gli anelli a volte non sono facilmente distinguibili. «Pensiamo alla confusione che genera il fatto che a volte un protagonista della catena ha diritto alla sospensione dell’Iva, cioè può non pagarla dopo averla riscossa fino alla dichiarazione dei redditi successiva», dice Davide Tabarelli, presidente di Nomisma Energia. «Quando si tratta di chiudere la partita a fine anno, questa società è sparita nel nulla».
Intervenire sulle intermediazioni, ma anche sulla rete dei benzinai, chiede a sua volta l’Unione Petrolifera per semplificare il quadro e migliorare i controlli. «Malgrado si siano molto ridotte negli ultimi anni – spiega Claudio Spinaci, presidente dell’Up – ci sono 20.750 pompe di benzina in Italia, quando in Paesi a noi assimilabili quali Francia, Germania e Gran Bretagna non si va oltre le 12-13 mila. Di queste, 5mila hanno un “erogato” inferiore a 350mila litri l’anno, dieci volte meno della media europea». E sono 6mila, il triplo di pochi anni fa, le pompe “bianche” senza logo, considerate a rischio evasione per la difficoltà di controlli. Per proseguire nella razionalizzazione del settore, l’Up ha dato vita l’anno scorso a un tavolo di lavoro insieme al ministero dello Sviluppo, all’Agenzia delle Entrate, alla stessa Assopetroli. «Ne è uscita una serie di provvedimenti che sono stati inseriti nel decreto fiscale di fine anno e nella Finanziaria 2017, come la stretta sulle autocertificazioni di “esportatore abituale” emesse da alcuni intermediari che gli garantivano trattamenti fiscali privilegiati. Intendiamoci, nella maggior parte è gente onesta, ma indubbiamente questa facoltà aumenta i fattori di rischio».
La stessa Up nella sua assemblea la settimana scorsa ha denunciato con veemenza il dilagare di fenomeni di llegalità a danno anche dello stesso settore, fino all’esistenza di un vero e proprio mercato parallelo di prodotti illegali, controllato spesso dalle mafie. Particolarmente preoccupante, denuncia l’Up, è l’importazione di prodotti finiti con piccole navi dalla Libia o da altre aree instabili, che vengono “riciclati” e resi prodotti comunitari in una serie di porti conniventi all’interno della Ue.
Articolo pubblicato su Cinquantamila.it il 3 luglio 2017