SQ – Se l’Europa vuole solo l’elettrico è inutile lavorare ai carburanti sostenibili

Il dibattito tra le associazioni all’evento di apertura di Fuels Mobility

Se le politiche europee lasceranno la strada della neutralità tecnologica e punteranno solo sulla mobilità elettrica, sarà impossibile, oltre che inutile, arrivare ad avere carburanti sostenibili. Se le emissioni continueranno a essere calcolate solo allo scarico – e quindi non servirà, ai fini del rispetto dei limiti di emissione, bruciare carburanti rinnovabili – l’industria petrolifera e del gas sarà di fatto esclusa dalla transizione, non essendo in condizione di investire in prodotti sempre più sostenibili e non avendo alcuna prospettiva di sviluppo. È il messaggio piuttosto cupo emerso dalla tavola rotonda di apertura della manifestazione Fuels Mobility, svoltasi mercoledì alla fiera di Bologna. Un messaggio che nasce dalla constatazione che il pacchetto europeo Fit for 55 abbandona la strada della neutralità tecnologica, imponendo standard che solo l’auto elettrica può rispettare, mettendo in crisi già da oggi l’efficienza della filiera petrolifera e del gas, che ancora forniscono la quasi totalità dell’energia alla mobilità – e lo faranno ancora per qualche decennio.

Per Marina Barbanti, direttore generale di Unem, l’ostacolo principale è “l’incertezza delle policy”. La domanda evolve “sulla base delle prescrizioni normative” e quelle del Fit for 55 rischiano di essere letali per i carburanti – a prescindere dalle loro credenziali “verdi”: se “il conteggio delle emissioni è solo allo scarico” e non sull’intero ciclo di vita, “è inutile lavorare alla produzione di carburanti sostenibili”. Una normativa instabile, in generale, “blocca i sistemi produttivi e distributivi già oggi” e non solo in prospettiva. Quanto alle ricariche elettriche, “saranno marginali per il settore petrolifero, visto che solo per il 30% saranno pubbliche e di queste solo una parte sarà sui punti vendita carburanti e il resto in parcheggi e altre destinazioni”, mentre “l’idrogeno è ancora sperimentale”. Il punto è dunque “non abbandonare le tecnologie, mantenere la filiera petrolifera efficiente”, consentendole di partecipare alla transizione, magari istituendo un sistema di crediti tra i produttori di carburanti e quelli di auto. In conclusione, “o le emissioni vengono calcolate in modo diverso o tutti gli sforzi sono vanificati. Su questo si gioca tutto. E non sembra ci siano ripensamenti a Bruxelles”.

Anche Valentina Infante, vice presidente di Assocostieri per il Gnl, ha puntato il dito sulla “incertezza che rende difficile prendere decisioni di investimento”. Incertezza che riguarda anche gli iter e i tempi, se consideriamo che per avere i primi due depositi costieri di Gnl in Italia, quello di Higas in Sardegna e quello Edison-Pir di Ravenna, ci sono voluti sette anni. “La transizione energetica – ha detto – rischia di essere inficiata dal Fit for 55”, per via delle continue accelerazioni che spiazzano le tecnologie di transizione, come il previsto “allineamento fiscale di Gpl e Gnl agli altri carburanti”. Il gas, ha sottolineato, “è propedeutico al bioGnl o al Gnl sintetico”. Ma serve tempo, serve “un graduale ammodernamento degli impianti” e “nel settore navale in particolare il Gnl è ora l’unica alternativa” perché per ammoniaca e idrogeno mancano le infrastrutture. “Oggi ci sono circa 700 navi a Gnl nel mondo, tra quelle in mare e gli ordini. Se non lasciamo che si sviluppi il Gnl, si rischia un aumento del costo dei prodotti trasportati via nave”. In merito alle semplificazioni, “il silenzio-assenso aiuta” ma lo spostamento al livello centrale della competenza non è efficace se poi “conta il parere locale”.

Anche per Sebastiano Gallitelli, segretario generale Assopetorli-Assoenergia, “l’incertezza è un ostacolo” ma la rete, pur “fortemente frammentata con oltre il 60% in mano ai retisti privati, è un asset strategico per la transizione”. In questo senso “il Pnrr è stato un’occasione persa”, con “interventi estemporanei e non sistematici su idrogeno e biometano”. Secondo il segretario generale di Assopetroli, “la rete avrà un ruolo nelle ricariche elettriche per gli spostamenti fuori città con le ricariche ultrarapide” ma “serve un quadro certo con norme certe per la transizione. Se così non sarà, questo decreterà la fine della rete come la conosciamo oggi”.

Flavio Merigo, presidente di Assogasmetano, ha indicato nel biometano “l’unica soluzione per avere veicoli a zero emissioni, e nonostante questo – ha protestato – nella rete europea Ten-T dopo 7 anni non ci sono ancora i punti vendita di metano previsti per legge”.

Secondo Silvia Migliorini, dg Assogasliquidi, “non c’è un’unica soluzione e non c’è una soluzione semplice, sia per la rete che per l’energia in generale”. Il bioGpl viene prodotto già oggi dalle bioraffinerie Eni, poi c’è la possibilità di miscelazione con il Dme ed è possibile arrivare al 50% di prodotto verde su tutto il Gpl immesso in consumo al 2030, sia auto che combustione”. Ma questo, ha detto “ha un senso solo se c’è un’indicazione certa e non mutevole” sulla strada da fare e sul punto di arriva, perché “sono investimenti miliardari. Servono misure di supporto dell’oggi per Gpl e Gnl”. positivo il giudizio sul DL semplificazioni, con il riconoscimento della strategicità e la qualifica di investimenti “indifferibili e urgenti” per le infrastrutture per la distribuzione dei carburanti gassosi, un risultato “non scontato”, su cui “il Mite ha tenuto il punto anche nel dibattito parlamentare”. Bene anche il Fondo complementare che ha indirizzato “220 milioni per la filiera del Gnl anche per il rinnovo del parco navi”. Un rischio viene invece dall’estensione del sistema Ets al settore dei trasporti, per cui “si rischia di pagare tre volte la CO2”. Ma il pericolo più grande viene dal nuovo standard Euro 7 che stabilisce in sostanza che “si va verso un’unica tecnologia”, quella elettrica. ma, ha concluso Migliorini, “il motore dell’Italia è il gas, è un’eccellenza sia per i trasporti che per l’industria manifatturiera ed energetica. L’Italia non può non tenerne conto in Europa”.

Secondo Dante Natali, presidente di Federmetano, “le regole europee ci impongono in modo non corretto la transizione”, con riferimento in particolare al calcolo delle emissioni solo allo scarico e non nell’intero ciclo di vita del carburante. Sul caro metano, Natali ha detto che la differenziazione dei prezzi tra i vari punti vendita dipende anche dalla differenza nelle scadenze contrattuali, sottolineando che “la situazione sta uscendo dal controllo” e difendendo gli operatori che si sono trovati costretti a portare i prezzi a due euro/kg. “Ci saranno operatori – ha concluso – costretti a chiudere, questa è la situazione che si sta creando”.

Per Andrea Ricci (Ngv Italia) “il primo milione di veicoli a zero emissioni sarà a biometano e non elettrico”. Quanto a Snam, “speriamo che nel 2023 saranno disponibili il microliquefattore di Caserta e la possibilità di caricare autobotti a Panigaglia”.

Secondo Natalino Mori (Fai Conftrasporto) “il punto è sempre chi paga” e “un grosso peso lo stanno pagando i trasportatori”. Con il caro metano “abbiamo già bruciato i benefici dell’acquisto dei mezzi a Gnl”. Il problema, ha aggiunto, “è anche il rapporto con la committenza, visto che le tariffe di trasporto sono indicizzate al gasolio e non al Gnl”, senza contare che “solo il 20% dei depositi italiani di carburanti accetta trattoti a Gnl” per motivi di sicurezza. Con i biocarburanti “paghiamo ormai un sovrapprezzo di 48 euro per mille litri”. Nonostante questo “il diesel continuerà ad avere un ruolo determinante”, anche perché “i trasportatori i camion li devono comprare oggi. Aspettiamo dal ministro Giovannini gli altri aiuti di cui ha parlato per rinnovare il parco automezzi”.